Perché la Global Minimux Tax è una questione di democrazia

Perché la Global Minimux Tax è una questione di democrazia

Perché la Global Minimux Tax è una questione di democrazia (di Ernesto Maria Ruffini su Avvenire). Ci sono gruppi societari con ricchezze più grandi di interi Stati ma tassati con l’indirizzo legale scritto sull’acqua dei paradisi fiscali. Una soluzione è necessaria.
Tra i temi più rilevanti e meno discussi, la Global Minimum Tax è un termometro della nostra democrazia. E ci dice che la febbre è alta. Alcuni sostengono sia una questione troppo tecnica. Ma quanto era complicato, nei primi anni della nostra Repubblica, parlare di Europa, scuola pubblica o sanità universale con una popolazione ancora largamente analfabeta? Eppure se ne parlava, e furono fatti passi avanti verso una maggiore uguaglianza.
Allora parliamone. Partendo da una delle poche cose certe: nelle casse dei vari Stati mancano troppi miliardi di imposte non pagate. Secondo stime Ocse, circa un terzo del Pil mondiale è prodotto da multinazionali. Tuttavia non esiste un sistema tributario internazionale, esistono Stati e territori, gelosissimi della propria sovranità fiscale. E gruppi societari, con ricchezze più grandi di interi Stati, tassati con l’indirizzo legale scritto sull’acqua dei paradisi fiscali. Di conseguenza, queste aziende riescono a pagare meno tasse delle normali imprese nazionali. Per affrontare questo problema, dal 2021 oltre 140 Paesi hanno iniziato a lavorare in sede Ocse per individuare una soluzione basata su un principio ragionevole: se un’azienda genera ricavi in un Paese, qui deve pagare almeno una parte delle tasse. Una soluzione che guarda al cuore del principio di uguaglianza: queste aziende accedono a tutti i servizi pubblici – sicurezza, infrastrutture, formazione – pur contribuendo ben poco. E fa emergere la chiara concorrenza sleale tra chi paga integralmente le tasse e chi, pur essendo più grande e ricco, riesce a ridurne il carico. Così non siamo più di fronte a un libero mercato, ma a un mercato dominato dal più forte.
La soluzione del forum Ocse è un primo passo basato su due “pilastri”. Il primo obbliga le multinazionali a pagare tasse nei Paesi dove operano, non solo dove hanno sede. Il secondo introduce una tassa minima globale del 15%, da versare nei Paesi in cui si generano i ricavi. Tuttavia, questa soluzione appare fortemente indebolita da un recente accordo G7 secondo cui le aziende americane, e solo queste, saranno escluse dalla tassa minima globale (conoscevamo già i dubbi degli Usa sul primo pilastro). Dunque, le multinazionali più grandi e più numerose sarebbero libere di continuare a godere degli attuali vantaggi. Ma perché gli altri Paesi del G7 hanno accettato tale concessione? Perché Trump ha minacciato “tasse di ritorsione” sulle imprese dei Paesi che adotteranno “tassazioni punitive”. Siamo dunque arrivati al paradosso di considerare come punitiva l’applicazione stessa del principio di uguaglianza e di leale concorrenza. Questo è un confine che non possiamo permetterci di superare e che, anzi, dobbiamo trovare il coraggio di difendere con fermezza. Perché è in gioco un modello, quello europeo, che vive di regole, della centralità del diritto, di controlli, di pesi e contrappesi che limitano e bilanciano l’esercizio del potere, impedendo il dominio del più forte e del più ricco.
Il principio di uguaglianza è ciò che tiene insieme le nostre democrazie, garantendo anche il funzionamento del libero mercato. Cedere a una minaccia o vacillare per opportunismo politico, sperando in un appeasement, non porterà a nulla di buono. A una prima minaccia vincente ne seguirà un’altra. Dopo essersi assicurato un privilegio fiscale per le aziende americane in Europa, Trump chiederà di smantellare ulteriori regole.
Dobbiamo prendere coscienza che il modello europeo è sotto attacco e che è nostro dovere difenderlo. Serve davvero coraggio perché le aziende multinazionali, specialmente quelle tecnologiche, hanno accumulato enormi ricchezze e influenza globale. Ma è giunto il momento per l’Europa di difendere con determinazione il proprio mercato, i propri principi e lo stato di diritto. È necessario sostenere con forza la legge, e la tassazione progressiva, uguale per tutti. E bisogna anche reagire, non solo difendere. Si è parlato molto di autonomia per l’energia e altri settori strategici. Ma vale anche per le tecnologie della nostra vita quotidiana.
È sicuramente possibile creare social network, piattaforme di e-commerce e streaming, che rispettino le norme e i valori europei. E dovrebbe essere nostro dovere promuoverne crescita e sviluppo. Abbiamo appena festeggiato i 40 anni della bandiera Ue. Ma a cosa serve una bandiera se ci siamo dimenticati in nome di cosa sventoli?
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