
Un futuro da costruire subito
Il problema più grande che abbiamo oggi – e il sintomo più grave della crisi degli ultimi trent’anni – è che non facciamo più scelte per il futuro.
Qual è stata l’ultima decisione della politica italiana pensata davvero per chi sarebbe venuto dopo? L’ingresso nell’Euro. Da allora, solo piccoli calcoli di giornata. Scelte fatte con la testa rivolta indietro. Tornaconti di breve periodo.
E così i giovani se ne vanno. Quest'anno i giovani che hanno lasciato il Paese sono stati 100.000, un numero preoccupatamente in crescita. E non è un viaggio d’avventura: è una fuga dalla mancanza di prospettive. Ma il vero dramma non è chi parte: è che chi parte sa che difficilmente avrà l’opportunità di tornare, e che praticamente non arriva nessuno da fuori. Anche gli altri paesi europei, la Francia, la Germania vedono partire molti giovani, ma ne accolgono ancora di più: centinaia di migliaia ogni anno. Noi no. Noi perdiamo capitale umano e non ne attiriamo.
E quando perfino le università italiane scivolano in fondo alle classifiche, il messaggio è chiaro: qui si investe poco. Poco in ricerca, poco in formazione, poco nel futuro. Così i nostri ragazzi crescono con l’idea che per costruire la propria vita debbano farlo altrove.
Il primo momento migliore per piantare un albero era dieci anni fa. Il secondo momento migliore è adesso. È nostro dovere restituire ai giovani – e a noi stessi – un tetto sotto cui i sogni possano crescere asciutti, senza bagnarsi e svanire. È nostro dovere tornare a sentire la responsabilità del futuro.
Ricostruire la speranza non è un lusso. È l’unica scelta che può ridare forza al Paese.